I videogiochi in commercio sono innanzitutto prodotti votati all’intrattenimento, ciò non deve però portare ad una sottovalutazione delle loro potenzialità comunicative; i videogiochi, non diversamente dai mezzi di comunicazione classici, sono in grado di veicolare complesse idee e ideologie, spesso nascoste dietro l’aspetto più propriamente ludico. Guardando in modo più specifico al mercato hardcore si rileva una forte concentrazione delle quote di mercato nelle mani di pochi distributori e mancanza di originalità nei titoli proposti, tale situazione porta ad una riduzione delle tematiche trattate e agevola la diffusione di idee facenti capo a correnti culturali dominanti. Facendo riferimento alla definizione di mainstream data da Fausto Colombo nel suo libro Introduzione allo studio dei media si può affermare che l’attuale mercato destinato agli hardcore gamers è caratterizzato da una corrente mainstream:
“Negli ultimi tre decenni, una larga porzione dei Cultural Studies ha sottolineato con forza l’applicabilità ai media del concetto gramsciano di egemonia. In particolare, ha marcato la nozione di mainstream come corrente culturale dominante, in grado di ridurre progressivamente lo spazio espressivo delle altre. […] In termini un po’ brutali, si può dire che il concetto di mainstream può essere letto come una riduzione guidata della complessità della realtà, riduzione che viene operata per scopi non cognitivi, ma di controllo sociale o per esigenze di mercato.”1
Per capire quali sono le “esigenze di mercato” che rendono poco innovativo il settore videogiochi si può fare riferimento al “Rapporto sul mercato videoludico” di Antonio Romano, responsabile della sezione Business & Marketing del sito http://gameprog.it
“Possiamo ribadire con estrema sicurezza, che la domanda mondiale nel settore videogame e nell’interactive entertainment, sta sviluppandosi ad un ritmo molto elevato. Tuttavia, allo stesso tempo, il costo di sviluppo e la vendita sembrano spesso aumentare ad un tasso ancora più elevato.
Il costo di pubblicazione è così alto che vi è un'esitazione reale circa la presa di qualunque genere di rischio creativo.”2
Gli editori sono quindi portati a proporre sequel di giochi di successo, o giochi basati su licenze cinematografiche o televisive.
“Il timore dei publisher nel pubblicare titoli ex-novo e quindi non “testati” per il mercato, si evince facilmente considerando il fatto che quasi tutti i titoli della “Top ten list” del 2003 sono basati su licenze, oppure sono seguiti di altri titoli importanti, per il quale le vendite ed il mercato già erano noti e consolidati. “True Crime: Streets of LA”, e “The Getaway”, costituiscono le uniche due eccezioni del caso, relative alla pubblicazione di titoli basati sulla proprietà intellettuale originale (IP). In realtà anche se estendiamo il nostro target ad un campione relativo ai venti titoli maggiormente venduti, non riusciamo comunque a trovare altri titoli IP”3
Romano presenta poi alcuni esempi per dimostrare come spesso i giochi tratti da licenze non ottengono consenso tra i recensori specializzati a causa del gameplay banale; il riconoscimento del marchio determina comunque ottime vendite come è avvenuto con Dragonball Z: Budokai II.
Più avanti Romano evidenzia come il mercato sia guidato dalle scelte degli editori, i quali hanno il potere contrattuale di condizionare gli sviluppatori di videogiochi, e come il mercato si sia concentrato nelle mani di pochi a causa di fallimenti e acquisizioni. Primo tra tutti compare Elettronic Arts (EA), il publisher indipendente piú grande nel mondo.4
“La situazione del mercato diventa ancora più una sfida se si considera il fatto che le maggiori brand oggi disponibili, sono nelle mani dei più importanti publisher, o forse di un solo grande publisher, Electronic Arts. Non a caso leader nei giochi basati sul genere sportivo, EA sembra dominare ogni categoria. Tuttavia, neppure EA, con la sua imponente struttura, risulta immune dalle generali condizioni del mercato, poiché necessita di investire tanto per guadagnare tanto e sostenere un valore di mercato pari a $16 miliardi. Quindi, la rincorsa ad aggiudicarsi costantemente le migliori, e costose licenze cinematografiche, costituisce un gioco abbastanza pericoloso.”5
Il game designer Greg Costikyan, in un articolo pubblicato su The Escapist6 spiega da un punto di vista più tecnico i motivi di tale situazione; con l’aumento sempre crescente delle potenzialità grafiche dei nuovi processori le aspettative dei giocatori in termini di qualità grafica diviene sempre maggiore:7
“The problem is that once something becomes technically feasible, the market demands it.”8
La realizzazione della grafica dei giochi richiede quindi un crescente impegno da parte delle software house, tale impegno va a scapito della progettazione del gameplay, aspetto importante quanto sottovalutato dall’industria.9 Anche se i profitti sono sempre crescenti, il costo di produzione dei singoli giochi cresce più velocemente delle vendite, solo i grandi distributori possono sopportare il rischio di un insuccesso commerciale, ciò ha causato la concentrazione del mercato nelle mani di pochi. Gli enormi costi di realizzazione di un titolo al passo con le tecnologie attuali (da 5 milioni di dollari in su) rendono problematico un insuccesso commerciale anche per le grandi aziende; da qui nasce la tendenza ad essere conservatori, e a proporre sequel di giochi di successo, o giochi tratti da film.
“The publishers would like all games to be like sports games. With sports games, all you have to do is improve the graphics incrementally and throw in the new player stats - and the little drones will go out and buy the new version every year. They’re basically buying the same game over and over, but the players are wearing different jerseys and have slightly different behind-the-scenes data.
Publishers would love all games to work the same way - and they’re trying to make it happen. That’s why they look for franchises - not for good games.”10
Le uniche innovazioni vengono presentate dai pochi game designer di indiscussa fama, gli unici attori in grado di condizionare gli editori.
“Does anyone seriously think anyone other than Will Wright could have gotten EA to publish a game like The Sims? And actually, EA tried to kill The Sims many times before it was finally released. […] We’re only talking about the best-selling PC title of all fucking time.”11
Per ovviare ai costi crescenti e ai rischi connessi sembra che l’ultima tendenza sia di proporre giochi a episodi: un numero minore di livelli, prezzo più basso e pochi mesi tra il rilascio di un episodio e il successivo. Tale modello di distribuzione consente di ridurre i tempi di lavorazione per ogni singolo gioco e di poter incorporare le opinioni dei giocatori negli episodi successivi. Utilizzeranno questa formula Half-life 2 e Sin.12
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